2007-01-17 / Il Piccolo di Trieste / Claudio Gherbitz
Con Angela Hewitt un Bach ispirato
Fin dal suo primo incedere sul palcoscenico del Rossetti, Angela Hewitt piacque molto e l’unanimità della soddisfazione fu tale da indurre la committente Società dei Concerti e rinnovarle le convocazioni. L’artista canadese e una scoperta recente rispetto alle sue affermazioni che risalgono a quasi una trentina d’anni fa, ma il ritardo è stato ampiamente compensato da un abbraccio totale, ricambiato da parte sua fra l’altro dall’adozione di un grancoda di fattura italiana, dalla scelta di risiedere in terra umbra e di avviarvi un riuscito Festival musicale.
Al suo terzo gradito ritorno, la prima serata del nuovo anno per il sodalizio triestino, la Hewitt, anziché smorzare gli entusiasmanti ricordi, ha confermato, semmai incrementando, tutti i suoi pregi aggiungendo un altro, incondizionato successo alla già fitta collana. Ha dalla sua soprattutto la capacità di interessare, di proporsi spontaneamente, in una parola, sa comunicare. Attraverso un pianismo serio e concentrato, una professionalità puntigliosa fin nei dettagli, un atteggiamento composto ed elegante, ma con un vivacità interpretativa sempre rinnovantesi ed una musicalità affascinante, con punte d’impertinenza squisitamente femminili.
La resa delle sue apparizioni può essere graduata in felicità, quando nella stessa sala propose la Sonata di Liszt o nel Concerto di Schumann lo scorso autunno al Comunale, ma stavolta tutto è volato molto alto, essendosi soffermata sul terreno preferito. Partendo dal “suo” Bach, dalla quarta “Suite francese”, offerta con quella giusta dose di “inegalité” che sconcerta se applicata in astratto, ma qui giustificata dall’attrazione che il più austero dei compositori provava per lo stile aldilà del Reno. E di francese non c’era solo il profumo nella raffinatissima Suite in la maggiore di Jean-Philippe Rameau, affrontata dalla Hewitt con grinta e spericolatezza, risolta con uso ammirevole ed accorto dei pedali, in una continua varietà dinamica e sensibilità di tocca. Una pagina da ricordare, non solo perché rara.
Più che incline a qualche dilatazione in senso teatrale, la Hewitt è parsa accogliere suggestioni dal repertorio posteriore, da Schubert ed oltre, nelle sue interpretazioni della Sonata in do minore di Mozart e della Sonata n. 3 in do maggiore di Beethoven. Per ineccepibile tecnica, per qualità del suono, comunque centrate e convincenti. Applausi fitti ed entusiastici, anche fuori tempo, per le quattro esecuzioni ed un solo fuori programma: il sublime Adagio dalla “Patetica”.
Stasera l’artista si esibirà al Comunale di Monfalcone.