2005-05-11 / Il Piccolo di Trieste / Claudio Gherbitz
Angela Hewitt, étoile alla tastiera
La pianista canadese affascina per esecuzione e portamento
Quando Angela Hewitt apparve l’anno scorso sul palcoscenico del Politeama Rossetti, il suo nome non era noto a tutti e fu fra la sorpresa quasi generale che, trovando nel suo tutto Bach” accenti altamente ispirati, riusci convincente suscitando al pubblico della Società dei Concerti una delle più memorabili serate degli ultimi anni.
Il suo ritorno, in coda alla stagione e quale penultimo appuntamento del ciclo, è di quelli a tamburo battente e a grande richiesta. Nel recital dell’altra sera Johann Sebastian Bach era solo schierato in partenza di un percorso che, attraverso Ravel, sfociava in quel capolavoro, in quella fiaba per adulti oggi molto amata anche dal pubblico e ancor più dagli interpreti, che è la Sonata di Liszt, e nuovamente sono emerse la sua personalità speciale e la sua comunicativa costruita su espressioni e sonorità quasi ideali, ricavate dal prediletto grancoda Fazioli.
E’ sempre con Bach che la Hewitt vola alto. Non ce la sentiremmo di prendere a modello la “Fantasia cromatica” per l’esplicito clima d’improvvisazione e per gli scarti di tempo, ma non si può assolutamente non ammettere la notevole carica di pathos nell’abbinamento con la Fuga, per immergersi poi nella fluidità del giardino di danze intrecciato nell’Ouverture francese, tale da tenere a bada ed impressionare anche i puristi.
Se per talune delicatezze nella Sonatina di Ravel la pianista canadese sfiora l’affettazione, l’incanto è totale nella Sonata lisztiana, con i mille virtuosismi mortificati non da cautele ma da una padronanza assoluta e con una pienezza inventiva carica di tensione. Gli applausi alla fine, scroscianti e incondizionati, approdano ad un unico e delizioso fuori programma, il Lied “Morgen” di Richard Strauss.
Più che sugli esiti interpretativi, della Hewitt preme soffermarsi sulla personalità, sul suo modo di presentarsi e di porgersi. Le note biografiche, spesso un inutile elenco di esibizioni e di dischi, sono d’aiuto quando indicano nel papà, organista nella capitale canadese, la possibile fonte d’una musicalità eccezionale, ma il curriculum dettagliato parla poi dei suoi inizi nella danza classica, l’avvio folgorante d’una carriera accantonata solo per il pianoforte.
Ecco, di suo e di unico la Hewitt possiede il carisma, il fascino della grande ballerina solista. Fin dal primo incedere sulla scena, dal saluto, dalla postura allo strumento, dall’atteggiamento sempre composto, dall’espressività luminosa mai turbata dalle insidie e dalla fatica, si può tranquillamente affermare che se il mondo ha perso un’étoile, ha guadagnato una Margot Fonteyn alla tastiera.”