In recital in Milano

2003-11-16 / Il Sole 24 Ore / Quirino Principe

Da Angela un grande Bach

Di Angela Hewitt, nata a Ottawa, avevamo sentito parlare in termini di ammirazione che avevamo sospettato eccessivi. Una sentenza emessa da “The Guardian” nel 2001, “la maggior pianista bachiana del nostro tempo”, non ci era andata a genio. Non ci sono mai piaciute, in materia d’arte e di musica, le proclamazioni di primato assoluto. Siamo convinti che i grandi e veri talenti crescano circondati dal silenzio, non perché lo meritino, ma poiché di solito vale l’inverso: il troppo clamore è quello dei fuochi d’artificio. Nel suo caso, in verità, non si trattava di clamore, ma di una convergenza di giudizi motivati. Sospettando indebiti i nostri sospetti, in assenza di un ascolto diretto, avevamo affidato una prima e approssimativa conoscenza alla discografia della pianista canadese. Delle registrazioni e soprattutto delle incisioni, come chiunque sa, si può tener conto nelle linee d’insieme, né può essere contraffatto dalla “riproducibilità tecnica” (così acutamente analizzata da Walter Benjamin più di settanta anni fa) il pensiero musicale di un interprete, o, spesso, l´assenza di un suo pensiero musicale. Ciò che può essere non proprio falsificato ma nascosto sono gli infiniti dettagli, i microscopici connotati che risultano decisivi.
Durante il concerto della Hewitt al Conservatorio di Milano per le “Serate Musicali”, l´ente che Hans Fazzari guida e inventa giorno per giorno meritando – è il momento di dirlo, una buona volta – assai più gratitudine di quanta la città non gliene renda, abbiamo finalmente osservato da vicino quei dettagli, di cui questa gran signora che ha della musica una visione cristallina ci offre un´evidenza difficilmente superabile. Detestiamo le enunciazioni di primati, ma nel suo caso la tentazione è forte. Grandissimo il suo Bach (la Englische Suite n.6 ), in cui la tecnica dominata con altissima scuola non era, come avviene per altri interpreti di primo rango, la base monumentale su cui si sparge il terreno da cui nascono il pensiero e la poesia, ma era essa stessa grazia e idea. Ascoltando, adattavamo alla Hewitt quello che Mallarmé fa dire a un suo enigmatico alter ego , questa pianista, mentre con i suoi disegna idee e forme simboliche, confessa silenziosamente di avere “lu tous les livres”, di essere passata attraverso i versi dei poeti, di avere letto i filosofi antichi. Una natura felice? Piuttosto un´artista che dà felicità ma è troppe nobile, troppe estranea a qualsiasi banalità e trivialítà per essere felice. Per questo, sotto le sue dita la fantasiosa severità di Bach è stata la musica meno perturbante, mentre il pubblico è stato visibilmente scosso dal fascino argenteo di Louis Couperin e dalle pagine di Ravel e di Granados, che raramente, prima di ascoltare la Hewitt, avevamo sentite tanto distruttive per uno stato d´animo ragionevolmente tranquillo.